La ricerca di relitti

Un aspetto della "caccia ai relitti" che pochi subacquei considerano: è permessa?

Siamo felici che in redazione giungano molte lettere e messaggi di posta elettronica. Anzi abbiamo grande piacere nel riceverli e vi invitiamo a scriverne sempre più, per richiedere chiarimenti, come avviene nella rubrica “per istruttori”, o per segnalare situazioni particolari.

Da alcuni di questi messaggi generano, inoltre, approfondimenti e discussioni estremamente interessanti che, talvolta, rivoluzionano i punti di vista più consueti. È questo il caso del messaggio giunto recentemente dal lettore Andrea, che ci chiede: «…da alcuni anni leggo sulle varie riviste di settore o su internet che sempre più subacquei scoprono relitti o fanno ricerche per la loro individuazione. Vi chiedo: si possono effettuare queste ricerche?».

Mi è stato dato l’incarico di approfondire la cosa e, ovviamente, come appassionato ai relitti ho subito pensato: «Certo, che male si fa? Se non ci fossero state ricerche condotte da appassionati molti relitti sarebbero del tutto sconosciuti.» Tuttavia non mi sono mai soffermato ad approfondire la questione, quindi, come dovere di ogni buon giornalista ho cercato qualche “consulente” che potesse meglio di tutti darmi lumi in merito. Chi meglio dell’amico Luca Sasdelli, istruttore, subacqueo tecnico, grande appassionato di relitti, in servizio a Firenze presso il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri? Luca ha seguito da presso le vicende del Polluce (ci siamo conosciuti in quella occasione) e ha quindi affrontato questi temi anche dal punto vista delle convenzioni internazionali. Grazie al suo intervento e con il consiglio di qualche magistrato che ha trattato l’argomento abbiamo stabilito delle conclusioni che, purtroppo, ribaltano completamente, almeno per l’Italia, il mio punto di vista originario, certamente condiviso da moltissimi appassionati di relitti. Con questa nuova consapevolezza leggere le notizie pubblicate sulle riviste e su internet … fa rizzare i capelli!

 

La tutela dei beni culturali

È noto a tutti come l’attività di tutela dei beni culturali (tra questi rientrano, dopo la ratifica del “Codice Urbani”, anche le navi d’interesse storico e quelle che hanno più di 75 anni di età) spetti alle competenti soprintendenze archeologiche mediante la ricerca, lo scavo ed il recupero di tali beni sull’intero territorio nazionale, comprese le acque interne e quelle marittime. Queste attività rientrano nei compiti istituzionali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ai sensi testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali di cui al decreto legislativo n. 42/2004.

È altrettanto noto però come, per carenza di provvedimenti organici e per l’attitudine culturale a considerare prioritarie le ricerche sulla terra ferma, l’attività di ricerca subacquea sia stata solo occasionalmente oggetto di attenzione da parte delle strutture ministeriali. Sostanzialmente si ritiene che i beni sommersi siano più al sicuro di quelli sulla terraferma.

D’altra parte ci si rende conto che tale atteggiamento deve essere rapidamente superato, visto che oggi i processi tecnologici consentono il recupero di giacimenti culturali presenti in modo significativo nelle acque, cosa che prima non era possibile per i limiti connessi alle tecnologie stesse. Non è un caso che oggi si “scoprano” (anche se spesso si tratta di “riscoperte”) molti relitti un tempo dispersi.

 

I danni dei “dilettanti”

D’altra parte questi progressi tecnologici – nel momento in cui giungono alla portata di “chiunque” - fanno sì che gli stessi giacimenti culturali, se non tutelati e recuperati dalle competenti autorità preposte, restino inevitabilmente esposti a ricerche clandestine e quindi a furti, vedasi la vicenda assai nota del prezioso carico sul relitto del piroscafo Polluce, il cui processo si è aperto da poco tempo.

Sotto un altro aspetto, inoltre, bisogna registrare un sempre crescente interesse per questo specifico settore della ricerca archeologica da parte di persone non ufficialmente preposte a svolgere il compito. Ciò da un lato consente una rilettura della storia sulla base dei risultati dei ritrovamenti, ma dall’altro– paradossalmente - presenta il rischio, se le ricerche e i ritrovamenti non saranno condotti con criteri scientifici, di produrre danni irreversibili al patrimonio archeologico e storico.

Il fenomeno è ampiamente conosciuto e le stime parlano di migliaia di relitti di navi, alcune risalenti anche al primo millennio avanti Cristo, presenti in prossimità delle nostre coste ed interessate da questo danneggiamento. Lo stesso Consiglio d’Europa se ne è occupato sin dal 1978 con la raccomandazione n. 848 dello stesso anno e l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nella Convenzione sul Diritto del Mare svoltasi a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva nel nostro Paese dalla legge 2 dicembre 1994 n. 689, ha raccomandato agli Stati di estendere la legislazione statale relativa ai ritrovamenti archeologici anche agli spazi marini. Si ipotizza che nel sommerso possano ritrovarsi ancora beni in numero maggiore di quelli conservati in tutti i musei di Francia, Grecia, Italia e Spagna messi insieme! Ciò è di particolare rilievo per il nostro Paese che, per ragioni storiche e geografiche, è quello in cui è presumibile che esistano le più significative presenze sommerse. E sufficiente ricordare al riguardo alcuni clamorosi ritrovamenti, come i «Bronzi di Riace», la nave romana rinvenuta intatta nelle acque antistanti l’antica città di Aquileia, nonché il ritrovamento di altre statue bronzee nel mare di Brindisi e il satiro danzante di Mazara del Vallo, casualmente rimasto impigliato nelle reti di pescatori del luogo. Ovvio quindi che la ricerca “abusiva” non sia permessa.

 

La ricerca

Resa evidente la necessità che lo Stato ha di difendere il suo patrimonio sommerso, torniamo alla domanda posta dal lettore e che ogni subacqueo si fa mentre sogna di trovare un relitto vergine: «posso fare ricerche?» Prima di tutto bisogna chiarirsi sul termine: cosa si intende però per “ricerca”? Non è possibile fornire una definizione esaustiva, che possa comprendere e risolvere tutte le possibili ipotesi che la realtà è in grado di prospettare; si può tuttavia cercare di rintracciare delle “linee guida”. In primo luogo nel concetto di “ricerca di un relitto” è insito il principio di “trovare”, “cercare” o “scoprire” qualcosa di ignoto, sconosciuto, mai ritrovato prima. In termini legali pare pertinente che si debba parlare di ricerca solo quando si opera per ritrovare un “quid novi”. In parole semplici si può dire che per parlare di “ricerca” si debba prospettare il caso di un bene ignoto sia nella consistenza o ubicazione, o noto nella consistenza ma di cui è ignota l’ubicazione o, nota l’ubicazione ne è ignota la consistenza.

È evidente quindi che non si possa parlare di “ricerca” laddove ci si trovi di fronte ad un bene noto ed ubicato in un luogo conosciuto. Questi relitti sono visitabili senza problemi.

Ma la definizione di ricerca comporta anche il dovere chiarire cosa significhi “conosciuto”. Contrariamente a quanto possano pensare molti subacquei, “conosciuto” non significa che qualcuno – genericamente - già ne sia a conoscenza, o che sia apparso su una rivista o su Internet. I principi generali in materia di beni culturali sanciscono che un bene di cui siano noti ubicazione e consistenza può essere considerato bene culturale “rinvenuto” solo se sia stato già segnalato alle competenti autorità.

In definitiva, quindi, si intende “ricercato” un bene culturale anche nel caso che detto bene sia noto ad una o più persone (si immagini i pescatori di un certo tratto di mare), ma mai segnalato alle competenti autorità. Si tratta di ricerca quindi anche nel caso in cui un pescatore accompagni un subacqueo su una “afferratura” non segnalata alle autorità. È facile comprendere la ragione di tale principio: l’autorità pubblica, non essendo stata debitamente informata ai sensi dell’art. 90 (scoperte fortuite), non ha potuto intraprendere le iniziative più idonee a tutela del bene, che così rimarrebbe esposto al danneggiamento o al saccheggio. Diversamente se il bene è “noto” nei termini sopra indicati e ne sia stata quindi data doverosa segnalazione alle autorità competenti, lo stesso può essere cercato e visitato. In tal caso infatti –fermo restando che è punito il furto o il tentato furto di beni culturali – pare non potersi sopprimere un “diritto di visita” da parte di chi sia interessato alla visione di tale bene; ciò, ovviamente, se non in contrasto con eventuali provvedimenti amministrativi (quali ordinanze della Capitaneria di Porto) posti a tutela e salvaguardia del bene stesso.

 

Condotta della ricerca

Chiariti i termini con i quali possa essere definito il bene oggetto della ricerca, resta da vedere quale sia “l’attività” di ricerca e quando la stessa violi il divieto di cui all’art. 175 del Dl.vo 42/2004 (Violazione in materia di ricerche archeologiche). Nel diritto penale vige il principio per il quale si è punibili qualora si ponga in essere una condotta potenzialmente offensiva del bene tutelato dalla norma penale (Cd. Principio di offensività). A contrario la punibilità è esclusa quando è impossibile l’evento dannoso o pericoloso e ciò per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa.

Da tale principio pare quindi desumersi che non possano essere ritenute punibili ricerche meramente documentali e storiografiche (per esempio in archivi storici aperti al pubblico) circa l’individuazione di beni culturali e della loro ubicazione e fini a sé stesse.

Ben diversa sarebbe da valutarsi la condotta di chi si mette in mare per la ricerca di beni culturali, sulla scorta di ricerche documentali fatte in proprio, fatte da terzi o sfruttando le conoscenze di chicchessia conseguite per esperienze personali. Insomma non agisce nel rispetto della legge chi si mette alla ricerca di un relitto sulla base di una “soffiata”. Da notare come siano perseguibili anche i soggetti che forniscono tali informazioni, qualora fossero a conoscenza degli intenti del “ricercatore abusivo”.

Il fatto che chi si metta in mare “alla ricerca” sia dotato o meno di attrezzature idonee per individuare la posizione del relitto (side scan sonar, ecoscandagli sofisticati, ecc.) e per il raggiungimento delle profondità necessarie (ROV, attrezzature trimix, ecc.) sono elementi importanti per provare che si è in presenza di una ricerca non autorizzata, ma ciò non è sempre necessario. Nel caso in cui un bene fosse casualmente rintracciabile su un basso fondale si opererebbe infatti una ricerca abusiva anche se in assenza di materiale tecnologico particolarmente sofisticato.

Ci preme sottolineare come alla diffusione di notizie di “scoperte” di nuovi relitti si accompagnino talvolta foto con elementi (campana, parti del carico, ecc.) portati in superficie, prova evidente di un danno procurato al bene dello Stato. Vige il divieto assoluto di asportare oggetti dai siti archeologici e/o relitti, in quanto detti beni fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato. In caso di asportazione di parte di relitti o reperti si andrà incontro al reato di impossessamento di beni culturali, punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 31 ad Euro 516,50. Si cade quindi nel penale.

A parziale mitigazione di tale principio e pur sempre nel rispetto del superiore e fondamentale principio di cui all’art. 91 che proclama che i beni di cui all’art. 10 del citato D.L.vo "da chiunque ed in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo o nei fondali marini appartengono allo Stato...", con l’art. 90 disciplina le "scoperte fortuite" dei beni di cui si tratta e gli obblighi che incombono sullo scopritore riconoscendo però a questi un “premio” secondo le regole ed i criteri di cui agli artt. 92 e 93. Ovviamente i singoli fatti di vita reale possono porre dubbi circa la natura dell’attività espletata di volta in volta dal subacqueo, ma sono questioni che troveranno la loro soluzione su come si interpreteranno i fatti accertati, restando però fermi i principi generali sopra esposti.

Alla fine di queste brevi note è chiaro che qualcuno possa non essere soddisfatto dalle conclusioni. Di ciò ne è consapevole anche il legislatore e in parlamento nelle precedenti legislature sono stati presentati diversi disegni di legge, aventi per oggetto proprio una più precisa regolamentazione in materia.

 

Vietata la riproduzione senza autorizzazione degli autori.Luca Sasdelli e Stefano Ruia tramite lexbeniculturali